vetroresina

Osmosi barca – Tutto quello che devi sapere sull’OSMOSI nelle barche in vetroresina

Osmosi barca – Tutto quello che devi sapere sull’OSMOSI nelle barche in vetroresina

Introduzione al fenomeno dell’osmosi

Per una qualsiasi persona che almeno una volta nella vita abbia mostrato interesse al mondo della nautica si è prima o poi trovato davanti una parola, “l’osmosi“; cos’è questa osmosi e per quale motivo c’entra con il mondo della nautica? Signore e signori purtroppo non si finisce mai di imparare e la chimica come la fisica sono ovunque e sono la base del mondo che ci circonda, e la nautica non fa eccezione.

Detto con parole semplici, l’osmosi è un processo chimico-fisico poichè ha caratteristiche sia chimiche che fisiche ed avviene principalmente in ambiente acquoso e permette il passaggio attraverso una superfice semipermeabile dell’acqua per via di una differenza di densità, questa differenza di densità, aziona il processo osmotico, ossia il passaggio dell’acqua da un lato ad un altro per cercare di equilibrare la differenza in termini di densità.

Cos’è l’osmosi, il processo e perchè si generano le bolle osmotiche nella vetroresina?

miscelazione della resina

Come spiegato in precedenza l’osmosi è un processo chimico-fisico che avviene principalmente in ambiente acquoso e sfrutta la differenza in termini di densità per permette il passaggio attraverso una superfice semipermeabile dell’acqua.

Nel mondo della nautica, la superfice semipermeabile è rappresentata dalle resine termoindurenti, queste resine per quanto possano essere fatte a regola d’arte e miscelate con il catalizzatore in maniera perfetta, se guardate al microscopio presentano delle porosità e queste, mediante la differenza di densità vengono riempite attraverso il processo omotico, ossia azionando il passaggio dell’acqua da un lato ad un altro per cercare di equilibrare la differenza in termini di densità, quindi banalmente la proprietà di assorbire l’acqua da parte della vetroresina, o per meglio dire, l’acqua che si vuole far assorbire a forza dalla vetroresina.

Questo avviene, poichè, l’acqua ha la tendenza a riempire le aree con una differenza di densità infiltrandosi all’interno delle porosità intrinseche alla vetroresina ed è aiutato da un altro processo chimico detto idrolisi (argomento che esaminiamo nel dettaglio qui), il quale permette all’acqua di scindere i legami chimici all’interno della resina termoindurente e generando nuove aree in cui l’acqua può infiltrarsi e continuare il suo processo e nello stesso tempo danneggiarlo a livello microscopico.

Va da sè, che questo processo, avvenendo a livello microscopico ha una lunga durata nel tempo ed è influenzato dalla tipologia di materiali e dalle tecniche utilizzate che possono allungare o ridurre i tempi di assorbimento dell’acqua e di conseguenza l’invecchiamento del materiale composito.

Perchè l’osmosi è un problema?

osmosi a scafo

L’osmosi può essere considerato come una malattia della resina, in sè non risulta essere un problema se non a lungo termine, nell’ordine delle decine di anni, in quanto, l’ingrandimento delle bolle osmotiche ed in concomitanza con il processo di idrolisi che invecchia la resina fa perdere le sue proprietà strutturali del materiale.

Ma quindi quando si crea l’osmosi e diventa un problema?

L’osmosi si genera quando nelle prime fasi di fabricazione dell’imbarcazione, durante il processo di preparazione della miscela di resina termoindurente e catalizzatore questo non viene fatto seguendo perfettamente le proporzioni i modi ed i tempi esplicitati dal produttore, generando dei grumi di catalizzatore non reagito ed intrappolato all’interno della resina indurita.

Questa presenza di grumi di catalizzatore che non hanno reagito durante la fase di miscelazione della resina termoindurente può essere descritto come una malattia della barca, la quale assorbendo acqua per osmosi nel momento in cui entra in contatto con il grumo di catalizzatore e lo riempie per differenza di densità.

A seguito della reazione tra acqua e catalizzatore il grumo aumenta di volume spaccando l’area circostante, solitamente in senso orizzontale seguendo il verso della fibra di vetro e sviluppandosi in termini di volume fino al totale consumo del catalizzatore.

Perchè è pericolosa l’osmosi?

La bolla osmotica può interessare sia un area limitata e quindi rimanere localizzata, che essere diffusa ed affliggere un area più estesa, poichè, se in presenza di tante bolle (o “blister osmotici”) molto vicine le une alle altre possono essere rappresentate come un unico grande difetto non permettendo più allo scafo di supportare determinati stress di carico riducendo lo spessore di vetroresina su cui scarica gli sforzi la barca.

Va da sè che il problema non è solo la creazione di una bolla ma anche di un distaccamento interlaminare tra i vari livelli di vetroresina, il che comporta una grave perdita delle caratteristiche strutturali non potendo più affrontare determinate condizioni meteo aumentando il rischio di affondamento.

L’individuazione delle bolle osmotiche rappresenta un problema di sicurezza vitale per una barca e per il suo proprietario e rappresenta oltre ad una perdita in termini di sicurezza anche ad una perdita di valore della stessa in quanto da considerarsi come una barca malata e da riparare.

I falsi miti dietro l’osmosi e dell’igrometro cerca osmosi

Essendo l’osmosi un argomento caldo nel mondo della nautica, ha fatto in modo che si sviluppassero tutta una serie di teorie e falsi miti che vanno dalla cura, a come individuarlo con la creazione di altrettanti personaggi cercatori di osmosi tipo Ghostbuster, generando un sottobosco di informazioni forvianti, che non risultano avere un reale fondamento ma per lo più sono legate a doppiofilo all’osmosi generando confusione.

Tra le teorie antiosmosi che si leggono dal web una di queste è l’applicazione di gelcoat, questo componente è di base utilizzato per la rifinitura delle imbarcazione ed è applicata nella prima fase di preparazione dell’invaso femmina, poichè viene utilizzato anche per evitare l’icollaggio della resina all’invaso, permettendo che questo si stacchi con facilità al termine della lavorazione dello scafo.

Quindi per quale motivo viene frainteso che il gelcoat serva per proteggerlo dall’osmosi?

E’ plausibile che questo accada poichè il gelcoat è sì, composto a base resina poliestere o epossidica, ma questo non implica che il gelcoat non essendo composto di sola resina, acquisisca per intero le caratteristiche di impermeabilità della resina con cui è misceato, quindi no, il gelcoat non protegge dall’osmosi.

In realtà non si conosce il reale motivo per cui si suppone che aggiungendo più strati di gelcoat o più strati di antivegetativa questo protegga la barca dal processo di osmosi, ma in realtà è l’inverso, in quanto, proprio la capacità assorbente della antivegetativa e dello stesso gelcoat, impedisce alla vetroresina di asciugarsi nel momento in cui la barca è stata alata in cantiere, creando un ambiente umido che non rallenta il processo.

Questo avviene, poichè, avendo l’antivegetativa o il gelcoat maggiori capacità assorbenti, rilasciano con più difficoltà l’acqua, impedendone la corretta asciugatura ed intrappolandola alimentando la possibilità di nuova osmosi e nuova idrolisi.

E’ plausibile che questa intuizione venga dal fatto che più strati si applichino più sia difficile che l’acqua venga assorbita, ma questa teoria non ha alcun fondamento, anzi è plausibile che la presenza di gelcoat sopra gli ultimi strati di vetroresina sia controproducente rispetto alla sua totale assenza.

Perchè l’igrometro non trova l’osmosi?

igrometro per lettura umidità scafo

La funzione dell’igrometro è quella di distinguere la percentuale di umidità all’interno di un manufatto, sia esso di vetroresina, legno o cemento, senza che il materiale analizzato venga danneggiato per effettuare analisi sui campioni.

Questo strumento attraverso l’utilizzo della radiofrequenza o della conducibilità elettrica del materiale permette di raccogliere dati sull’umidità, senza danneggiarlo, consentendolo di rientrare di diritto nella categoria delle prove non distruttive, ossia in inglese NDT “non distructive testing”.

Come detto in precedenza, l’osmosi è la proprietà che permette all’acqua di farsi assorbire dalla vetroresina e la bolla osmotica è solo una conseguenza dell’assorbimento dell’acqua che reagisce con il grumo di catalizzatore che non ha correttamente reagito durante la miscelazione della resina termoindurente in fase di costruzione.

Va detto che il risultato della reazione tra catalizzatore e acqua genera un acido con PH4 (circa) con il forte odore di aceto.

La presenza di questo acido e della sua eventuale bolla non visibile, non viene rivelata dall’igrometro, in quanto lo strumento distingue esclusivamente la quantità di umidità all’interno del materiale composito, non permettendo di riconoscere dove ci sia o no una bolla osmotica.

E’ plausibile che a barca completamente asciutta con meno del 50% di umidità, se applicato lo strumento in corrispondenza della bolla, questa risulterà uniforme allo scafo, non permettendo di distinguere una variazione tangibile, in quanto, la percentuale di umidità all’interno della bolla risulterà omogenea allo scafo.

Quindi sempligicando, sempre per effetto osmotico, le parti di acqua contenute nella bolla di osmosi cercheranno di livellare la quantità di liquido al di fuori di essa, prosciugando il contenuto della bolla stessa e lasciando un vuoto al suo interno.

Esiste uno strumento capace di riconoscere le bolle osmotiche?

Gli unici strumenti capaci di distinguere una variazione nel materiale sono presumibilmente 3:

  • L’occhio umano, preferibilmente di un professionista esperto che conosce le tecniche per individuarlo.
  • gli ultrasuoni possono sì distinguere il difetto in sè ma spesso la grandezza essendo inferiore al diametro della sonda , questa viene facilmente confusa con una porosità intrinseca del composito generando una grossa difficoltà nella distinzione nel difetto e l’interpretazione dell’echo, risultando poco affidabile
  • un altra tecnologia in fase di sviluppo e non ancora largamente utilizzata è la shearografia (argomento non ancora approfondito in quanto una nuova tecnologia) che sollecitando il materiale attraverso calore e vibrazioni promette di distinguere difetti all’interno dei materiali compositi.

Va comunque detto che l’utilizzo di queste inadgini strumentali risultano particolarmente onerose e non sempre possono rappresentare un buon investimento, rispetto all’ausilio di un perito nautico specializzato decisamente meno oneroso e altrettanto affidabile.

L’osmosi affligge tutte le resine?

La tecnologia come anche un miglior controllo durante le fasi di produzione si è evoluto nel tempo, questo ha portato uno sviluppo delle tecnologie dietro le resine termoindurenti che sono partite dalle resine poliestere ortoftaliche , passando per le resine isoftaliche e vinilestere fino ad arrivare alle resine epossidiche, esaminiamo nel dettaglio le differenze qui.

Chiaramente la diminuzione dell’assorbimento osmotico e dell’invecchiamento del materiale attraverso l’idrolisi è stato drastico, sia nel passaggio tra resine ortoftaliche ed isoftaliche, che ancor di più con l’avvento delle resine vinilestere ed epossidiche, riducendo al minimo la porosità, come anche l’utilizzo dell’intrusione sottovuoto della resina in fase di costruzione, che ha ridotto al minimo le imperfezioni.

Infatti è sempre più raro riscontrare questo tipo di difetti su barche costruite con questo metodo, ma sarà solo il tempo a confermarlo, in quanto il processo è molto lento e si aggira sull’ordine dei 15-20anni.

Come individuare l’osmosi?

Ad oggi, l’unico metodo valido per identificare l’osmosi è un ispezione visiva dello scafo, questo difetto si manifesta inizialmente attraverso delle bollicine o differenze di colorazione/ombreggiature dell’antivegetativa che rappresentano un indicazione da dover tener presente.

La sola indagine visiva non permette di stabilire la tipologia di difetto, poichè come detto inizialmente, anche il gelcoat ha parti di resina al suo interno che deve catalizzare per solidificarsi, e molto spesso la sua miscelazione non essendo strutturale viene eseguita con un criterio meno rigido rispetto alla vetroresina, motivo per cui le bolle di osmosi più frequenti sono rappresentate da osmosi superficiale tra lo strato di gelcoat e lo strato esterno di vetroresina.

Ma come si ha la certezza che quella sia una bolla di osmosi interlaminare?

L’unico metodo per stabilire che la bolla di osmosi sia effettivamente una bolla interlaminare è rompendola attraverso un puntello e scavando per capire quanti e se coinvolge gli strati di vetroresina.

A seguito della rottura della bolla questa appare con una colorazione leggermente ambrata e dal chiaro odore di aceto, un ulteriore conferma è l’utilizzo di un tester del PH come la cartina tornasole, che attraverso il risultato da PH5 a 3 confermermerà la presenza di una bolla osmotica.

A chi rivolgersi per individuare le bolle osmotiche

perito nautico intento a cercare bolle di osmosi

Individuare le bolle osmotiche non è mai banale e può aiutare vedere la barca mentre è ancora bagnata a seguito dell’alaggio, o vederla controluce, ad ogni modo un professionista esperto può utilizzare diverse metodologie per distinguerla con efficacia.

Come proteggersi dall’osmosi?

Partiamo dal presupposto che una barca con l’osmosi o ci nasce o non ci nasce, quindi a meno che non siano passati 20 anni e l’osmosi non sia già uscita, la prevenzione è obbligatoria.

L’unico modo per proteggere una barca dall’insorgere di bolle osmotiche è effettuare un trattamento antiosmosi ossia l’applicazione di resina epossidica a scafo, per effettuare questa tipologia di trattamento la barca andrà portata a zero rimuovendo gli strati di antivegetativa e gelcoat se necessario.

A scafo nudo la barca andrà lasciata asciugare fino al raggiungimento di un livello minimo di umidità, questo dipenderà dal grado di invecchiamento del materiale composito, a seguito dell’asciugatura si dovranno applicare più strati di resina epossidica i quali creeranno un rivestimento protettivo con caratteristiche impermeabili nettamente superiori a qualsiasi tipo di resina termoindurente, rallentando il processo osmotico e fermando l’invecchiamento del materiale.

Va detto che in generale l’applicazione di un trattamento antiosmosi in fase precauzionale, viene spesso applicato sopra lo strato di gelcoat, mentre solo su barche che hanno subito la sabbiatura viene applicato direttamente sulla vetroresina.

Va da sè che come tutti i trattamenti questo sarà temporaneo, in quanto con il tempo il trattamento potrebbe perdere la su efficacia, pertanto si richiede una verifica delle condizioni con cadenza quinquennale, una buona idea potrebbe essere in occasione della rimozione completa dell’antivegetativa portando lo scafo a zero e non la classica discatura.

Come va trattato lo scafo in caso di presenza di bolle osmotiche?

La bolla di osmosi è il risultato finale di un “non” perfetto processo di miscelazione dei due componenti, resina e catalizzatore, che a seguito dell’assorbimento dell’acqua da parte del materiale composito e dell’incontro dell’acqua con il grumo di catalizzatore, questo attraverso il processo osmotico genera la bolla osmotica.

Possono esistere più scenari su cui operare in presenza di una bolla osmotica:

  • Nel caso in cui la bolla sia localizzata e non diffusa su tutto lo scafo, questa andrà rotta e attraverso una levigatrice si dovranno rimuovere tutti gli strati di resina coinvolti dalla bolla, arrivando fin dove non si nota più un distaccamento della fibra, dopo di che, si andranno ad applicare nuovi strati di fibra di vetro fino a ricostruire lo spessore originale,applicare nuova resina e poi rifinire.
  • Nel caso in cui le bolle di osmosi siano diffuse su aree maggiori o su tutto lo scafo, andrà presa in considerazione la sabbiatura dello scafo, questa tecnica pur essendo più dispendiosa rispetto alla discatura localizzata, quando si tratta di aree molto estese, potrebbe permettere l’individuazione con più facilità di tutte le aree coinvolte e porterà alla luce tutte le bolle osmotiche anche quelle non visibili, logicamente a seguito della sabbiatura la quantità di fibra di vetro da utilizzare sarà proprozionale alla superfice e allo spessore in cui le bolle erano localizzate.

Perchè alcune aree subiscono l’osmosi ed altre no?

Bisogna considerare che la barca è per lo più un manufatto artigianale e immaginare a quanti parametri questa è sogetta durante il processo produttivo e a quanti di questi possono variare, come:

  • la temperatura ambientale
  • I tempi di miscelazione
  • Le proprzioni
  • I prodotti utilizzati e da come era conservati
  • l’operatore o più operatori coinvolti nel processo di miscelazione e laminazione.

tutti questi parametri possono generare la possibilità che si creino i grumi o per dirla peggio “la malattia” e solo il tempo e l’invecchiamento del materiale possono far sviluppare.

Questa tipologia di intervento a seguito delle alte temperature raggiunte durante la fase di indurimento è sconsigliato effettuarle durante la stagione estiva, e tra asciugatura, preparazione e lavorazione effettiva, sempre considerando le disponibilità dell’resinatore e del cantiere potrebbero durare oltre il mese di lavoro.

Conclusioni

L’individuazione ed il trattamento delle bolle osmotiche è di fondamentale importanza, poichè la loro presenza potrebbe inficiare strutturalmente lo scafo e rivolgersi ad un perito esperto potrebbe aiutarvi nell’individuazione e nel valutare la gravità del fenomeno, ho scritto un articolo su come scegliere il perito nautico qui.

Chiaramente nel momento in cui si presentasse sulla propria imbarcazione o sulla futura questa tipologia di problematica , questo non vuol dire che la barca non sia sicura o da buttare e come tutte le cose su una barca possono essere riparate, delle volte anche migliorandola rispetto a come era in origine.

In fase di preventivo effettuare più richieste e chiedere opinioni ad altri proprietari che hanno dovuto affrontare la medesima problematica per individuare il resinatore migliore per le vostre esigenze, anche farvi consigliare dal vostro perito di fiducia, ossia io :), potrebbe proporvi validi resinatori per aiutarvi a risolvere il vostro problema.

Umidità scafo, cosa sapere

Umidità dello scafo, cosa sapere e come comportarsi.

lettura umidità scafo

La barca muovendosi su un mezzo liquido quale l’acqua ha da sempre dovuto affrontare la problematica principale di come evitare che lo stesso mezzo su cui si muove cerchi in tutti i modi di farla affondare, e pertanto l’impermeabilizzazione della barca inizialmente in legno attraverso il Calafataggio prima, e successivamente la resinatura poi, ha da sempre costituito la principale preoccupazione o sfida da affrontare di un costruttore/manutentore di un imbarcazione.

Ma persisteva sempre un problema per quanto il calafataggio fosse fatto a regola d’arte, ossia l’assorbimento dell’acqua da parte del legno.

La proprietà di assorbire l’acqua da parte del legno è un fenomeno conosciutissimo in quanto il legno è da sempre utilizzato bagnato proprio per essere modellato aumentando le sue proprietà elastiche.

Nelle prime fasi di una costruzione, il legno in questo modo viene modellato seguendo il profilo che si desidera, fissato per dargli il movimento che si desidera e poi lasciato asciugare, per permettere al legno di memorizzare il profilo desiderato.

Quindi una cosa è l’assorbimento in fase di costruzione, un altra è postuma, poichè il legno negli anni a seguito del costante assorbimento di acqua avrebbe potuto deteriorarsi e/o perdere le sue caratteristiche di rigidità strutturale, avendo come unica soluzione la rimozione della doga o delle doghe deteriorate, obligando il proprietario ad un periodico refitting economicamente poco conveniente.

Quello dell’assorbimento costituiva da sempre un problema insormontabile. Per quanto lo si volesse proteggere con peci e pitture specifiche, quello dell’assorbimento risultava essere una preoccupazione costante fino alla creazione delle plastiche termoindurenti, che avendo proprietà basse di assorbimento, da prima venivano usate come stucco protettivo sugli scafi in legno per proteggerlo diminuendo l’assorbimento dell’acqua, per poi con lo sviluppo dei materiali compositi, essere del tutto soppiantate nel mercato delle barche, conforntandosi esclusivemente con materiali metallici e alluminio, per poi spazzare via dal mercato anche queste, data la sua economicità e velocità di costruzione.

Le problematiche dietro le resine termoindurenti

La nascità e lo sviluppo di un nuovo materiale, porta con sè ulteriori sfide da poter conoscere e combattere, in quanto con il passare degli anni era stato notato che anche le plastiche termo-indurenti assorbivano acqua provocando la diminuzione prestazionale di alcune delle caratteristiche in termini di:

  • Rigidità,
  • Stress di carico,
  • Torsione
  • Elasticità
  • Aumento della duttilità.

Queste variazioni nelle caratteristiche dei materiali compositi a seguito dell’assorbimento, come nel caso della vetroresina, genera problematiche interne al materiale che potrebbero con il tempo indebbolirlo, semplicemente ed in maniera anche alquanto intuitiva poichè una vetroresina asciutta è più solida di una bagnata e riesce a supportare sforzi molto superiori come poter resistere a condizioni marine avverse senza correre il rischio di deformarsi.

La resina utilizzata come matrice all’interno della vetroresina prima dell’applicazione risulta allo stato liquido, e solo dopo l’applicazione attreaverso una miscelazione di un catalizzatore che cambia la struttura molecolare polimerizzando e generando calore nel processo, solidifica.

Un esempio di catalizzatore è il perossido di metil etilchetone questo andrà applicato in quantità specifiche secondo disposizioni del fornitore.

Nel momento in cui il catalizzatore non si è del tutto miscelato in maniera omogenea e si verifica l’assorbimento di acqua all’interno della resina a seguito della differenza di densità tra acqua e catalizzatore si genera un processo osmotico che aumenta di volume generando un distaccamento tra gli strati di vetroresina generando per l’appunto una bolla osmotica che con il tempo potrebbe generare un distaccamento degli strati del composito.

Una chiara indicazione della formazione delle sopracitate bolle osmotiche è che se rotte attraverso un puntello, provocavano la fuoriuscita di un liquido acido dal chiaro odore che richiama l’aceto e confermabile attraverso l’utilizzo di una cartina tornasole che mostrerebbe un PH da 5 ad inferiore.

perchè la resina assorbe e come hanno affrontato il problema dell’assorbimento?

Sia il fenomeno di assorbimento, sia il fenomeno di desorbimento di acqua da parte delle resine termoindurenti e come tali fenomeni alterino le proprietà fisiche, chimiche e meccaniche dei suddetti materiali durante la loro vita utile sono stati a lungo affrontati e classificati con il termine invecchiamento.

In generale, da un punto di vista fisico, qualunque materiale analizzato, che sia composito o sola resina, durante il processo di assorbimento e/o desorbimento, subisce una variazione della propria massa, si deforma e si verifica il fenomeno noto con il nome di “hygroscopic swelling”.

Da un punto di vista chimico, l’hygroscopic swelling avviene attraverso il processo chiamato idrolisi, ossia una reazione chimica di scissione dove l’acqua rompe i legami chimici del polimero all’interno della resina e si lega a loro; in particolare, durante l’assorbimento, l’acqua esiste in due diverse forme: acqua libera (“free water”) o acqua legata (“bonded water”). La prima riempie le cavità all’interno del materiale (“free volume”), la seconda interagisce fortemente con i gruppi polari del polimero legandosi a loro e presumibilmente divenendo la principale responsabile del processo di rigonfiamento del materiale (“hygroscopic swelling” di Xiao and Shanahan, 1998).

Un altro parametro che assume un ruolo importante durante il processo di assorbimento è la percentuale di vuoto o porosità della resina che permette all’acqua di riempire i volumi liberi e generare un idrolisi più profonda, pertanto lo sviluppo di sempre nuovi polimeri termoindurenti che impediscano questo fenomeno sono stati sviluppati, passando dalle resine ortoftaliche, isoftaliche e vinilesteri fino ad arrivare alle resine epossidiche.

Le resine hanno due tipologie di applicazione possono essere applicate per colata, o per stratificazione a seconda delle esigenze di utilizzo.

ORTOFTALICA

Inizialmente le prime resine utilizzate nella nautica erano le resine ortoftaliche, il loro utilizzo è stato predominante nel mercato fino agli inizi degli anni ’90, le caratteristiche di questo polimero termoindurente erano:

  • buone caratteristiche meccaniche
  • basso ritiro lineare
  • elevato potere bagnante verso le fibre di rinforzo e le cariche minerali
  • contiene lo sviluppo di calore durante il processo di polimerizzazione
  • sviluppa elevati volumi
  • bassa tendenza a colature per via della sua alta tensione superficiale
  • bassi costi

ma presentavano minor rendimento in termini di:

  • produzione elevata di porosità
  • limitazione dell’assorbimento
  • contrasto allo sviluppo della porosità velocizzando il processo di invecchiamento.

ad oggi questa particolare tipologia di resina è applicata per la produzione di manufatti a colata o stampo come può essere ad esempio il marmo sintetico, riparazioni o in generale adatto a manufatti ad alto spessore.

ISOFTALICA

Lo studio dietro il miglioramento dell’assorbimento da parte delle resine nei primi anni ’90 del novecento ha dato vita alla resina poliestere bicomponente tissotropica da stratificazione, denominata ISOFTALICA.

Questa particolare tipologia di resina ha drasticamente ridotto l’indice di assorbimento d’acqua ed ha mostrato un aumento di flessibilità rispetto alla resina ortoftalica, di seguito le principali caratteristiche migliorate rispetto alla resina ortoftalica:

  • riduzione dell’assorbimento dell’acqua
  • aumento della resistenza agli agenti chimici
  • aumento della flessibilità
  • aumento dell’elasticità
  • aumento della resistenza agli stress di carico
  • aumento delle caratteristiche meccaniche
  • riduzione della porosità
  • sviluppo di volumi inferiori

date le sue caratteristiche la resina isoftalica si è resa indispensabile per manufatti con il perenne contatto con l’acqua come costruzione di scafi, tavole da surf, rivestimenti anticorrosivi e per la realizzazione di manufatti sollecitati a flessione, come sospensioni elastiche e stecche per le vele.

VINILESTERE

La resina Vinilestere è una resina bicomponente tissotropica da laminazione, questa particolare tipologia di resina risulta essere un ulteriore passo in avanti sulla ricerca dei materiali rispetto alla resina isoftalica, ed è caratterizzata da:

  • altissime resistenze chimiche
  • alte resistenze meccaniche paragonabili all’epossidica
  • temperatura di distorsione al calore elevate, oltre i 110° C
  • presenta un elevato potere bagnante
  • possiede un elevata tensione superficiale riducendo al minimo le colature su applicazione verticale

La resina vinilestere può essere applicata sia per stratificazione manuale che attraverso spruzzo su mat e stuoie in fibra di vetro, carbonio e kevlar.

In alcuni particolari tipologie di scafo, vengono utilizzati materiali compositial cui interno sono applicati sia strati di mat e stuoie in fibra di vetro che intervallati da uno o più strati di kevlar all’intervo di una matrice in vinilestere. Questo garantisce una maggiore resistenza allo scafo che acquisisce robustezza ma perde in elasticità e in caso di un sinistro come il contatto con una secca o un urto, la differenza di elasticità tra la fibra di vetro ed il kevlar potrebbe generare un distaccamento tra i due strati.

EPOSSIDICA

La resina Epossidica rappresenta quella che ad oggi è il culmine dietro lo studio dei polimeri termoindurenti. Come nei casi precedenti la resina Epossidica si presenta in forma liquida, e solo dopo l’applicazione di un catalizzatore attraverso miscelazione in maniera omogenea di questi due compoenti secondo indicazioni del produttore in merito a tempi, metodi, quantità e temperature si polimerizzano.

Le caratteristiche principali delle resine epossidiche sono:

  • eccezionale potere di adesione 
  • versatilità di applicazione, anche sui metalli;
  • ottima resistenza ad agenti chimici e atmosferici;
  • elevate proprietà dielettriche;
  • elevata resistenza meccanica;
  • eccellente stabilità dimensionale con minimo ritiro in fase di indurimento;
  • elevata resistenza all’invecchiamento;
  • elevata resistenza all’umidità;
  • maggiore elasticità;
  • ottima resistenza al calore;
  • costo elevato rispetto gli altri polimeri termoindurenti;

Durante la lavorazione, le caratteristiche della resina epossidica possono variare in base alla temperatura, questo può allungare o ridurre le tempistiche di preparazione della miscela o limitarne l’utilizzo a causa delle temperature ambientali.

Il range di lavorazione in termini di temperatura ambientale è tra i 5 e 25°C questa variazione può far modificare il tempo di applicazione medio rispettivamente dai 50 ai 20minuti. Il limite di temperatura ambientale è dato dalla tendenza del liquido a solidificarsi al di sotto dei 5°C e oltre i 25° dal pericoloso raggiungimento di temperature troppo elevate, con la possibile insorgenza di autocombustione dei materiali ad esso vicini durante la lavorazione, a causa delle caratteristiche endotermiche del materiale che può raggiunge temperature oltre i 120°C durante la polimerizzazione.

Pertanto durante la stagioni estive queste tipologie di interventi possono essere effettuate esclusivamente in ambienti controllati e non in ambienti chiusi come un imbarcazione durante una riparazione.

i principali usi della resina epossidica in nautica sono, oltre alle riparazioni, anche come rivestimento protettivo di uno scafo in resina orto-isoftalica in considerazione della loro elevata resistenza meccanica, durabilità e tenacia, questa tipologia di trattamento viene detto comunemente “trattamento antiosmosi” ma è da considerarsi prettamente come un trattamento anti-invecchiamento che cristallizza lo stato dello scafo.

Come capire che lo scafo è umido?

Per identificare se lo scafo che si sta esaminando è umido, bisogna utilizzare un particolare strumento facente parte del grande mondo dei controlli non distruttivi chiamato igrometro, questo strumento permette di analizzare la presenza di acqua in percentuale all’interno del materiale attraverso la conducibilità elettrica o la radiofrequenza.

lo studio MDSsurvey utilizza per l’identificazione dell’umidità scafo il Tramex skipper 5 utile per l’identificazione dell’umidità superficiale e profonda di vetroresina e legno, la lettura dell’umidità non si limita solo a questa tipologia di materiali ma anche per il cemento in modo da capirne le condizioni e trafilazioni di acqua attraverso i tubi passanti, in quel caso ci si avvale dello strumento della R&D, mentre per determinare l’umidità dei terreni o alimenti si utilizza lo strumento Smart sensor AR991, che permette di visionare l’umidità in profondità.

Durante le fasi della perizia l’umidità è un importante parametro per valutare lo stato di invecchiamento dello scafo, pertanto è buona prassi alare la barca almeno tra i 3 e i 5 giorni prima per permettere alo scafo di asciugarsi ed evitare che l’antivegetativa non si sia asciugata del tutto.

Contrariamente a quanto si possa immaginare anche una barca per troppo tempo fuori (1-2 anni fuori dall’acqua) non permetterebbe la corretta individuazione delle eventuali indicazioni, in quanto, se presenti difetti dalla lieve entità questi si potrebbero essere del tutto asciugati.

Per identificare correttamente l’umidità a scafo è essenziale rivolgersi ad un esperto del settore come può essere lo studio MDSSurvey in modo da potersi affidare ad un esperto che conosca le metodologie e le interpretazioni corrette dello strumento per evitare errori strumentali che potrebbero diventare forvianti e portare a conclusioni non corrette.

Conclusione

Migliori metodi per combattere l’assorbimento dell’umidità a scafo?

Per poter combattere l’assorbimento dell’acqua da parte dello scafo, una periodica asciugatura dello stesso in cantiere nei periodi invernali per poi varare la barca in acqua nei periodi estivi può essere un ottimo metodo per rallemtare la degradazione della resina.

Come abbiamo potuto approfondire nei paragrafi precedenti, le migliori soluzioni sono rappresentate dalle più recenti resine termoindurenti vinilesteri ed epossidiche in quanto data la loro scarsa porosità impediscono all’acqua di occupare i vuoti all’interno della resina e rallentare l’invecchiamento del materiale causato dall’idrolisi, il chè di conseguenza impedisce l’idrolisi profonda e la conseguente formazione di bolle osmotiche, attraverso il processo di osmosi, causato dalla differenza di densità nei confronti di eventuali grumi di catalizzatore non correttamente coinvolti durante la miscelazione dei due componenti.

Quindi l’applicazione di resina epossidica o vinilestere su uno scafo in resina ortoftalica o isoftalica per fermare il processo osmotico in atto, previa sabbiatura, è un ottima soluzione per fermare l’invecchiamento della resina e la sua disgregazione, cristallizzandolo, e di conseguenza limitandone lo sviluppo di nuove bolle osmotiche, il che non esclude il loro manifestarsi in futuro a causa di un eventuale perdita di efficacia del trattamento epossidico dopo anni dall’applicazione, quindi maggiori saranno gli strati di epossidica applicati a scafo maggiore sarà la sua efficacia nel tempo.

articolo scritto da Marco De Simone, Affiliato IIMS, GradIIMS, e tecnico NDT UT & PT

Bibliografia

Analisi delle proprietà meccaniche di resine epossidiche invecchiate idro-termicamente.pdf

Resina poliestere da stratificazione bicomponente insatura – POOLKEMIE

Resina epossidica

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